"Io sono te, quando io sono io": rigiro questo verso di Celan come una caramella sulla punta della lingua, ne gusto il sottinteso.
E questa fedeltà che è una prigione diventa reggia, dimora di re, perché tu alberghi in me con il ricordo di giorni ormai lontani, andati via nel vento con i granelli di sabbia.
Quel vento che soffiando da Levante riporta gli odori di allora, i fiori che infiammavano i giardini di sera. "Io sono te, quando io sono io".
Nella luce deserta degli specchi danza la polvere in coni sottili - piccole schegge di giorni perduti conservano memorie sfilacciate, tessere indecifrabili di puzzle.
C'è un frammento di te, un risveglio giallo che infiamma il cuore nudo del mattino, lascia il profumo verde dei capelli alle lenzuola ancora aggrovigliate.
E niente più: tutto risuona falso o fuori posto come nei solai, nei vecchi ripostigli abbandonati. Ciò che risplende è l'oro del ricordo.
Lo so, lo so: novembre è malinconico
e il raffreddore non mi dà più tregua:
la stanza ha l'odore blu del Vicks Vaporub
e foglie gialle dipinte sui vetri.
L'Autunno di Vivaldi dà sollievo
alle mie orecchie ma non apre il naso,
i suoi archi disegnano volute
che intrecciano i vapori di eucalipto.